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Affinit divergenti

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Al termine della lettura di questo romanzo, quando si è soliti andare a ritroso con la mente lungo le pagine appena chiuse, riassaporando quanto letto, molte sono le sensazioni e le riflessioni che cominciano a circolare nella mente. A mio avviso, uno dei tratti più marcati di questo romanzo è la speranza, una speranza alimentata dall’intelligenza, non una sorta di attesa in qualcosa di bello che possa pioverci addosso, ma uno sprone a costruire una visione che sia in grado di alimentare un futuro migliore. E già questo, nel clima sociale attuale, è un segnale sicuramente importante, troppo spesso la chiusura verso la diversità e l’alterità sono sbandierate con orgoglio e protervia. Invece, per Maggiani, è un caposaldo la ricchezza insita nella diversità: affini seppur diversi (divergenti). Ecco dunque che la parola “divergenza”, che fa capolino nel titolo, vuole significare il fatto di trovare uguaglianza e similitudine di intenti e vedute attingendo da ciò che accomuna e rende affini e non da ciò che divide. E qui giunge un altro degli elementi caratteristici della scrittura di Maggiani, elemento oserei dire debordante poiché lo si ravvisa in altri dei suoi ultimi lavori, anche in poesia, e cioè l’unità. Lo sforzo ad abbracciare una unità di pensiero e di affinità del sentire, che ben lungi dall’essere livellamento ed omologazione, è prettamente amore. Amore puro e universale, quell’amore verso l’altro che crea, appunto, unità, partendo insieme da soggettività diverse e apparentemente inconciliabili. E sull’amore si basa il narrato di questo romanzo, amore che trascende le convenzioni, che si esprime in un fugace momento di intimità non vincolato a promesse, a giuramenti o falsità, semplicemente è amore per l’altro, speculare e opposto ma accomunato dall’affinità. O diventa amore e dedizione sino al sacrificio nei confronti di chi è, ancora una volta, diverso ma reso affine nella differenza, nell’incomprensione degli altri. L’amore riesce ad abbattere i muri dell’ipocrisia delle persone donando ricchezza e ragione di vita, amore che trascende i rituali sociali, il genere o le inclinazioni, ma si rende puro e unico nell’essere semplicemente il bel sentimento che anima la vita delle persone. Senza voler rubare il gusto della lettura, con anticipazioni o spoiler, vorrei sottolineare la bellezza del personaggio di Elisa che sa trarre piacere dal suo corpo senza sotterfugi o finzioni, o, peggio ancora, sottostando a un frusto gioco delle coppie da cui il sessismo continua ad alimentarsi. Invece lei si dona e riceve, in modo puro e semplice, perfettamente paritario con l’uomo con cui decide di giacere.

Un aspetto a mio parere sorprendente in questo romanzo è come nel primo capitolo, in un sogno del protagonista, siano contenuti, in nuce, in maniera simbolica, i temi poi sviluppati nella stesura del libro. Un meccanismo che mi ha ricordato le celeberrime pagine che aprono la Recherche, nelle quali Proust, da un tempo imprecisato, getta uno sguardo su quello che è l’intero arco dell’Opera, tracciando una sorta di solco interiore nel quale germoglieranno le vicende. Mi soffermerò su questo inizio, il bianco inizio per dirla con Emmanuel Carnevali, sempre, come dicevo, per evitare spoiler al lettore che potrebbe indispettirsi.

 

L’incipit dà il la a questo primo capitolo che rivela ma non esplicita, dice ma nasconde, si tratta di una sorta di presagio che è anche il seme poetico della successiva narrazione in prosa. L’avvio del romanzo vede il protagonista alle prese con un “peso”, che potrebbe essere imbarazzante, una cosa che di solito non si narra, forse con un pizzico di ipocrisia, in quanto perfettamente naturale. Apro una breve parentesi per sottolineare come questo dire il non detto si lega a quanto ho esposto sopra riguardo a Elisa: Maggiani rompe l’omertà su fatti che per assurda pruderie non si possono dire, destano imbarazzo, ma sono perfettamente connaturati nel nostro essere umani. Un coming out di umanità, dunque, esposto e sbandierato nella prima pagina: è il non detto a creare diversità e imbarazzo, è il dover nascondere certi elementi a renderli dirompenti. Quindi, una condizione di disagio che è meglio non dire, ma che spesso orienta nell’oscurità alcuni momenti, se non l’intera esistenza. Ed ecco che in questo frangente un orribile sconquasso sembra capovolgere il creato, cade una forte, improvvisa pioggia, ma sembra quasi che sia il mare a riversarsi sulla terra, segno che per mettere in moto la narrazione bisogna osservare le cose da un punto di vista differente. Da questo cataclisma compare un mostro, che scivola via seminando panico e terrore, dolore, aggiungerei, un mostro che è alimentato forse dalla nera fanghiglia del non detto, del non si può dire, non si può fare, spesso presente sulle labbra della società. Il mostro caracolla sino a inabissarsi nel mare, simbolico altrove o forse nuovo inizio, piantonato da uomini in uniforme che potrebbero rappresentare quello Stato del diritto che molti auspicano in luogo di uno Stato che emana menzogne e odio. D’improvviso l’occhio del protagonista svela la mancanza di un simbolo celeste, quello stesso simbolo eletto ad emblema di pace, uguaglianza e diritti; esso è stato strappato: nello strappo si può leggere l’odio che toglie, con violenza, anche l’idea stessa del diritto. Il sogno termina, il sipario si chiude, la scena è la stessa ma è abitata dai medesimi personaggi, trasfigura in un reale nel quale si muoverà la vicenda. Ed ecco che Maggiani ci dona una chiave per la lettura del romanzo, e della sua visione del mondo. Chiave che sarà il motore ctonio del romanzo. Il protagonista, sebbene affaccendato in una attività solo sua, nel chiuso della sua abitazione, volge lo sguardo verso l’esterno, incontra l’alterità, il diverso da sé. E gli si schiude, gli va incontro. È il movimento simbolico che tinge le pagine del romanzo: andare incontro all’altro, non chiudersi e non volerlo fare proprio, ma aprirsi in un confronto franco, unica forma di dialogo capace di tessere l’amore, in primis, ma anche la pace e la liberazione. Ed è a questo passaggio che il titolo si schiude mostrando il suo arcobaleno di letture, di significati, tutti riconducibili al fatto che è nella diversità che vanno cercate le affinità e su di esse tessere il dialogo.

La lettura scivola veloce sulle pagine di una vicenda capace di catturare l’attenzione del lettore sin dall’inizio, e che non lo lascia neanche dopo la fine del libro, rimangono molte riflessioni e anche un sospiro del cuore, un senso di leggerezza e di gioia.

Nell’ultima pagina sembra di scorgere il Maggiani che ci fa notare quanto sarebbe più bello il mondo, se tutti la smettessero di dare adito a divisioni e disuguaglianze, la gioia non è fatto personale ed egoistico ma si nutre di unità e apertura verso gli altri.

 

 

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